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9 settembre 1991: se ne va il re degli arbitri, Concetto Lo Bello

di Marco Innocenti

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8 settembre 2009

Muore il 9 settembre 1991, di un tumore. Dio guarda giù e lo porta via nel sonno. Ha solo 67 anni e cento altre sfide ancora da vincere. Carlo Grandini, sulla "rosea", lo saluta così: "Se ne è andato Concetto Lo Bello, un po' Robin Hood, un po' moschettiere del re, un po' generale Patton". E' sepolto sulla collina di Siracusa che si affaccia sul mare, accanto alla Cittadella dello sport, lui e il suo capolavoro uniti per sempre.

L'uomo in nero col fischietto
Anni Sessanta. Sull'erba si esibiscono, palla al piede, Rivera, Mazzola, Suarez, Corso, Sivori, Angelillo e tanti altri fuoriclasse degli stadi. Ma, con il fischietto in mano, c'è un uomo in nero, solo, alto, con i capelli folti, i baffi taglienti, siciliano, uno sguardo quasi ipnotico, a volte sprezzante, che incute rispetto, una corsa imperiosa e solenne, la regolamentare giacca nera sopra la camicia bianca con il colletto tipo prima comunione: una divisa arcaica che indossa con britannico aplomb, pur portandosi dietro, integra, tutta la sua sicilianità.

Il numero uno
Sicuro di sé al limite dell'arroganza, padrone del campo, è il numero uno. Dalla sua bocca e dal suo luccicante fischietto pendono le immense platee degli stadi, in attesa del suo segnale di grazia o di condanna. "Entra in campo - scrive Indro Montanelli, che non lo ama - col passo del padrone che ispeziona il proprio podere". E' l'arbitro più famoso del mondo ma è anche l'uomo che, prima del fischio d'inizio, si fa sempre il segno della croce. Niente e nessuno riescono a intimidirlo, sin dal debutto in serie A, in Atalanta-Sampdoria, il 9 maggio 1954. E non solo per quel fisico possente che mette soggezione, ma per la personalità, l'ascendente sui giocatori, l'autorità e l'autorevolezza che sa mettere in campo, la capacità di valorizzare la figura dell'arbitro protagonista e personaggio. Il suo fischio imperiale e disarmante taglia il campo come un laser di precisione; i suoi gesti sono perentori, fulminanti. Abituato a non arrendersi mai, se necessario sfida i potenti, magari provocandoli, pur di imporre la propria disciplina e l'immagine di incorruttibile. Accanto a questo Lo Bello, che piace ai tifosi, spesso le cronache domenicali ne raccontano un altro: primadonna, un po' gigione, narcisista, innamorato di se stesso, protagonista e personaggio a tutti i costi, capace di espellere platealmente Rocco e il presidente della Spal Mazza o di applaudire in campo Rivera per un numero di alta classe.

Il congedo

Doma con il suo carisma un attaccabrighe facinoroso come Sivori, un falso angelo come Suarez e un ribelle per nulla e per tutto come l'esteta Rivera. Ammette in tv di avere sbagliato nell'avere negato, nel '72, un rigore al Milan. Si schiera a favore della moviola. "Aggiusta" con un rigore di compensazione, dopo averne concesso uno inesistente, la partititissima Cagliari-Juventus del '70. Amato e odiato, incapace di lasciare indifferenti, si congeda nel '74, lasciando al figlio Rosario il compito di reggere un improponibile confronto. Il "monumento", dopo 328 partite arbitrate in A, abbandona il calcio per la politica. Per poi tornare nell'amata Siracusa, città da sempre innamorata del pallone, dove ritrova amici, affetti e gli impianti sportivi da lui fortemente voluti, estrema testimonianza del suo amore per lo sport.

8 settembre 2009
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